Cagliari e i bei tempi andati: ti manca un vero “dieci” di carisma e fantasia

Joao Pedro, mezzala o trequartista del Cagliari
“Una squadra quasi perfetta, da battere e pronta per la risalita”. E’ questa la frase che viene ripetuta sistematicamente da inizio stagione dai media e dagli addetti ai lavori al Cagliari. Il “quasi” fa pensare. Cos’è quel qualcosa che manca alla squadra di Rastelli per ingranare e distaccare le altre partecipanti in lotta per la promozione in Serie A? Qual è l’ingranaggio che farebbe di questa macchina una fuoriserie? E se ciò fosse rappresentato da un vero “dieci”, inteso come fantasista, cucitore di gioco, regista e via dicendo nelle varie interpretazioni del ruolo?
Proveremo a capire quanto questo ruolo sia cambiato negli ultimi anni, puntando i riflettori in casa del Cagliari e rispondendo alla domanda sopra citate.

Enzo Francescoli con la casacca della Nazionale uruguayana
Le leggende che, come tutte le migliori storie del calcio si perdono nella notte dei tempi, attestano la loro nascita in Argentina, nella regione bagnata dal Rio de la Plata, in quella Buenos Aires di Jorge Luis Borges e di Bioy Casares, in quella “Màquina” infernale del River Plate dei primi anni ’40. La “diez” la portava un certo Ángel Amadeo Labruna, ma il vero diez, il primo vero “diez” fu un altro: Adolfo Pedernera. “E’ stato il calcio. Pelè, Maradona o io? Chi è stato il migliore? Pedernera”, dirà Alfredo Di Stefano anni dopo. “El maestro” era un giocatore dinamico, una mezza punta tutta tecnica e fantasia, diverso dai compagni di squadra perché, a differenza loro, non voleva avere una posizione prestabilita in campo. Svariava in tutto fronte d’attacco, rientrava trascinandosi il marcatore per consentire l’inserimento dei compagni di reparto che prontamente serviva con lanci millimetrici e filtranti che lasciavano a bocca aperta il pubblico del “Monumental”. Pedernera poteva essere il migliore dei goleador ma preferì far nascere quello che oggi conosciamo, comunemente, col nome di trequartista.
Il Rio de la Plata separa, nel suo corso, Buenos Aires e Montevideo. Città diverse, simili per la lingua parlata nel terreno di gioco. Dalla sponda settentrionale dell’estuario, son nati i più grandi numeri dieci della storia recente del Cagliari. Gli “uruguagi rossoblù” sono l’ultima espressione di un calcio che non c’è più, il testamento dei diez di altri tempi, l’ultima firma degli eroi del “Maracanazo”, Ghiggia, Schiaffino e di un furbo in bianco e nero.
Enzo Francescoli: la grazia. Ogni tanto, nelle terre ai margini del Regno del Calcio, approda un Principe a rompere l’incantesimo e, di colpo, la carestia di spettacolo e gol svanisce e ritorna nei volti degli appassionati, per incanto, la magia. Non si sa come Enzo Francescoli sia arrivato, nel lontano 1990, al Golfo degli Angeli, rifiutando il corteggiamento di squadre più blasonate come la Juventus di Agnelli, dopo aver predicato calcio a Marsiglia ed essere stato l’idolo di colui che qualche anno dopo vincerà il Balon d’Or e condurrà la sua Nazionale al suo primo titolo mondiale: Zinedine Zidane. L’uruguaiano danzava tra le linee al ritmo di una musica che lo isolava dal terreno di gioco e lo innalzava una spanna sopra gli altri. Era un “tanguero” malinconico con il pallone tra i piedi, piegava gli avversari e li “matava” senza deriderli o canzonarli perché un vero principe riconosce il valore degli avversari e sa rispettarli nella sconfitta. Triste come la fisarmonica di Astor Piazzolla, chiuso e riservato, solitario come i veri numeri primi. “El Flaco” (lo smilzo) era un “mudo” che giocava a “futbol” con passionalità e leggiadria, a cui bastava solo un pallone e un “locus amoenus”, un posto dell’anima, una città dove vivere: la trovò a Cagliari.

Fabian O’Neill, nato a Paso de los Toros
Fabian O’Neill: la sregolatezza. Quando il talento puro incontra la sregolatezza senza limiti ecco che nasce un campione destinato a diventare leggenda, ma quasi mai capace di compiersi pienamente. Il talento cresciuto “en los peores barrios” (nei peggiori quartieri) di Montevideo – tra prostitute, taverne e liti di strada -, lascia oggi il ricordo di un eroe romantico e decadente, un dandy da amaro in bocca, come gli short di whisky che beveva d’un fiato nei bar di Cagliari. Gettata via una carriera che poteva essere brillante, ma non lo è stata perché il talento senza testa è solo una luce destinata a tramontare inesorabilmente. Si, “poteva” è il verbo giusto da utilizzare, perché Fabian aveva tutte le carte in regola per dire la sua in ogni campo. Dirà Giampiero Ventura: “O’Neill è il miglior giocatore che abbia mai allenato”. Aveva una visione di gioco senza eguali, un giocatore di talento e di “garra” che si accendeva a sprazzi. Poteva non fare niente per gran parte della partita, ma la giocata non mancava mai, fosse essa un lancio di 30 metri, un dribbling secco o un gol di potenza dal limite dell’area.
Un altro sudamericano, dopo 15 anni, veste la maglia della fantasia in casa rossoblù (l’ultimo fu Fabian O’Neill nella stagione 1999-2000 ndr). Joao Pedro non ha nulla che lo accomuna agli storici trequartisti del recente passato del Cagliari. E’ figlio di un’altra generazione di “diez” arrivati dopo la crisi del ruolo negli anni ’90. Rui Costa, Sneijder, Veron e Seedorf son stati giocatori che hanno abbinato a indubbie qualità tecniche un fisico da mezzala. Il trequartista oggi è un “mezzosangue”, l’incrocio perfetto tra il più muscolare dei mediani e la migliore tecnica di una seconda punta. Sono espressione di un calcio più fisico, meno celebrativo e più concreto. Sono degli ibridi che assolvono, al meglio, le esigenze tattiche dell’allenatore, non sono più un peso per la squadra come in passato ma dei “jolly” meno anarchici ed egoisti, meno artisti e più gregari.
I due uruguaiani, a differenza del brasiliano, sono espressione perfetta del trequartista, e unendo i loro volti compare un dieci perfetto in tutti i suoi pregi e i suoi difetti. Francescoli e O’Neill erano giocatori di personalità che sapevamo prendersi il peso della squadra sulle spalle nei momenti di difficoltà. Quando il momento si faceva delicato, comparivano loro in mezzo al campo a giganteggiare, ad indicare la giusta via da seguire. E’ questo che manca al Cagliari oggi: un vero dieci, la fantasia e il carisma.
Il calcio è cambiato, il “tango” è fuori moda e le storie del passato non trovano ascoltatori attenti in grado di ripercorrere le gesta di eroi, il cui volto si è dissolto come il loro estro. Rimane solo una vecchia dieci accartocciata per strada che aspetta di essere re-indossata. Al suo fianco c’è una fisarmonica arrugginita: non suona più, cerca un altro suonatore del pallone e ricorda una musica che rivive nel presente con le note di un passato che non ritornerà più. Già, la strada e l’Argentina, trasponendo una celebre frase di Borges (“Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa in strada, lì ricomincia la storia del calcio”), chiedendo venia allo scrittore noi diremo: “Ogni volta che un vero dieci prende palla in mezzo al campo, lì ricomincia la storia del calcio.”
Fiorenzo Pala
Commenti